I AM THE MESSAGE.
Olga rappresenta chi ha la forza di rimettersi gioco, sempre, anche quando sembra impossibile. Basta crederci. #believer
Olga Antropóva
Olga è un’ex atleta, la marketing manager della Savino Del Bene Volley, squadra di serie A1, e la madre di Ekaterina. Quando racconta la sua storia si capisce perfettamente che il gene della determinazione è di famiglia. “Siamo venute in Italia nel 2017, quando con il mio ex-marito abbiamo deciso che qua ci fosse una possibilità per Ekaterina di diventare una stella della pallavolo perché il sistema di preparazione di atlete giovani e il Campionato sono i migliori nel mondo. All’epoca io però avevo quasi quarant’anni e un ruolo importante nel centro sportivo di San Pietroburgo. Una casa, una famiglia, amici e parenti. Tutta una vita costruita con fatica”.
Come vi sentireste se vi dicessero di cliccare il tasto reset e ripartire un’altra volta da zero? Questo è successo ad Olga quando si è trovata tra le mani il talento eccezionale di sua figlia, e prospettive non sufficienti in Russia. Per lei è stato come tornare indietro di vent’anni: “A 22 anni mi ero già trasferita con mio marito in Islanda, per tre anni. Ero molto giovane, non conoscevo nessuno e non parlavo la lingua. Sorridevo, ma dentro di me ero molto insicura e poco padrona delle situazioni. Trasferirsi in Italia significava nuovamente lasciare tutto e iniziare da zero dopo che, tornata in Russia, ero riuscita a trovare la mia strada un passo alla volta”. Le paure sono anche per Ekaterina: “Lei aveva la sua vita tranquilla, i suoi amici e il suo equilibrio. Temevo per lei che non si trovasse bene, era all’inizio dell’adolescenza e sappiamo tutti quanto sia difficile. Inoltre, la nostra altezza ci rende bersaglio di molte attenzioni. Avevo paura a farla uscire dalla sua bolla. Per questo, abbiamo da subito messo in chiaro che se lei avesse voluto, saremmo tornati immediatamente indietro”.
Olga trova la forza per cambiare tutto nell’amore per la figlia e per il suo futuro: “L’alternativa sarebbe stata una società sportiva russa inferiore a quelle italiane e con allenatori molto severi, e io non volevo una vita così dura per lei. Per quanto per me significasse sacrificare il mio percorso per dare speranza a lei, io credevo ciecamente nel suo potenziale. In famiglia siamo tutti ex atleti e difficilmente ci facciamo bloccare dagli ostacoli. Alla fine, abbiamo deciso di provare con l’Italia, lasciandoci dietro tutte le nostre sicurezze. Per fortuna lei si è trovata bene, il clima è perfetto, il cibo è sano e le persone fantastiche”.
Anche se c’è Ekaterina in campo, la storia parallela di sua madre è fondamentale. Una donna che infonde nella figlia il coraggio di buttarsi e di lottare per quello in cui crede, a costo di mettere tutto in discussione. Una donna che sceglie di rivivere il trauma della solitudine, proteggendo sua figlia in modo consapevole, rivedendosi in lei, e portando nel frattempo avanti il suo percorso personale di adattamento, nuovo e più complesso: “Ancora, dopo cinque anni, spesso mi sento sola anche se sono in compagnia. Non penso di essere un’eroina, mia figlia fa parte di me e ho fatto di tutto perché i suoi sogni si realizzassero. Vado in terapia per trovare un equilibrio, ma in fin dei conti penso che sia un percorso interessante e utile anche per me, i cambiamenti portano sempre ad un’apertura mentale e ad un panorama di opportunità che non sapevamo di avere”.